Chiesa e fascismo a Cosenza

di Luigi Mannarino

 

Il Duomo all'inizio del secolo

duomo inizio secolo
I rapporti fra Chiesa e regime fascista a Cosenza furono improntati ad una sostanziale collaborazione, sebbene occasionalmente punteggiata da scontri e dissidi.
In realtà vescovi, dirigenti e militanti dell’Azione Cattolica intravidero ben presto nel fascismo il novello difensore del cattolicesimo contro gli incalzanti assalti anticlericali e ateisti. L’adesione ad esso fu, perciò, convinta ed entusiastica; ed i pochi dissidi e contrasti derteminatisi, dovuti peraltro ai soli momenti d’incontro tra gli interessi della Chiesa e dell’Azione Cattolica con quelli del regime, non misero mai in discussione il fascismo come fenomeno autoritario e totalitario.
E ciò avvenne anche nel clero cosentino che seguì, con qualche isolata eccezione, la linea dettata dalle gerarchie ecclesiastiche centrali.
Il movimento dei cattolici organizzati cominciò a interessarsi del fascismo nel ’21 con un articolo apparso su <<L’Unione>>, organo provinciale del Partito Popolare diretto da don Luigi Nicoletti, nel quale si affermava che <<Né violenze socialiste, né violenze fasciste l’Italia desidera>>; continuò poi con un altro articolo nel quale si affermava che la borghesia italiana cercava un puntello nel partito fascista. Nel ’22 il giornale ritornò sul tema e annotò: <<i fascisti ci combattono più aspramente che non facciano con i comunisti>>.
Dopo la marcia su Roma di fine ottobre ’22 e il conferimento dell’incarico governativo a Mussolini, <<L’Unione>> osservò: <<Il colpo di stato, a cui tutti oggi battono le mani, costituisce un pericoloso precedente>>. Tuttavia, prima che il giornale venisse stampato, Mussolini pronunciò in Parlamento lo sprezzante discorso nel quale ne definì <<aula sorda e grigia>> la sede.
L’articolo non venne modificato, ma ad esso venne aggiunta una breve dichiarazione: <<Quando scrivevamo questo articolo, Mussolini non aveva ancora parlato alla Camera. Il suo linguaggio brutale e scortese ha schiaffeggiato a sangue la dignità parlamentare: le sue parole sono state il necrologio della XXVI legislatura e la minaccia di una dittatura senza scrupoli. Tutto ciò nulla distrugge di quanto abbiamo scritto di sopra>>.
Nell’ottobre del ’24, dopo l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, don Luigi Nicoletti e altri consiglieri provinciali dei partiti di opposizione in Cosenza firmarono un forte ordine del giorno di protesta, dichiarando <<la loro irriducibile opposizione verso il governo ed il regime fascista>>.
In quel momento delicato sul piano politico e di rinnovamento religioso per l’approvazione del nuovo ordinamento dell’Azione Cattolica, il <<Bollettino>> della diocesi cosentina non andò oltre la pubblicazione del discorso rivolto da Pio XI agli Universitari cattolici l’8 settembre ’24, durante il quale il Papa aveva affermato che <<l’Azione Cattolica, pur non facendo essa medesima della politica, voleva insegnare ai cattolici a fare della politica il miglior uso>>.
A parte qualche contrasto di lieve entità, i rapporti in questo periodo si mantennero buoni, né è sufficiente a far ritenere il contrario qualche avvenimento sporadico di segno opposto, come quello avvenuto nel ’28.
L’11 e il 12 marzo venne da Roma il sacerdote don Domenico Ettorre, il quale parlò ai giovani e ai sacerdoti e visitò anche qualche circolo. Le sue parole, però, non dovettero essere molto prudenti; infatti un prete lo denunciò alla Milizia accusandolo di antifascismo. Avvisato del fatto, mons. Trussoni, Arcivescovo di Cosenza, intervenne in suo favore. Subito dopo l’Arcivescovo assicurò gli organi centrali dell’Azione Cattolica che il caso era stato chiuso; ma non comunicò il nome del sacerdote denunciante, scrivendo che questi aveva già avuto da lui personalmente <<una risciacquata che gli resterà memorabile>>.
Il clima di collaborazione raggiunse il suo apice in occasione della firma dei Patti Lateranensi. Il 17 febbraio ’29 venne celebrata una funzione religiosa di ringraziamento officiata da mons. Trussoni nella chiesa di San Francesco di Paola gremita di fedeli. Secondo <<Calabria fascista>>, organo regionale del partito fascista, l’Arcivescovo rivolse un <<caldo ringraziamento a Dio, per aver concesso che un Uomo d’eccezione, un genio possente quale è Mussolini, un Papa Santo e patriotta, quale è Pio XI, ed un Re, d’alta mente e d’alto sentire, quale Vittorio Emanuele III, s’incontrassero nella grande e nobile aspirazione di rendere un segnalato servigio alla S. Sede ed all’Italia>>.
Secondo <<Parola di Vita>>, giornale della diocesi cosentina, l’Arcivescovo, in un <<breve discorso rilevò magistralmente l’importanza dell’avvenimento, bollando nei più chiari termini la setta che aveva sempre impedito l’accordo, ed esaltando l’Uomo provvidenziale, che, mettendo la setta fuori combattimento, poté con tutta libertà stringere la mano che da tempo il Papa protendeva all’Italia>>. La setta era evidentemente la massoneria. In tal modo il periodico mostrava la ragione profonda dell’accordo tra cattolicesimo e fascismo: la comune opposizione contro la minacciosa società segreta.
La crisi più grave scoppiò nel ’31 in occasione dello scioglimento delle organizzazioni giovanili di Azione Cattolica.
Essa durò tre mesi e cessò con l’accordo del 2 settembre ’31, secondo il quale la Gioventù Cattolica dovette cambiare nome e bandiera.
Il 1° aprile 1934 mons. Trussoni diede le dimissioni a causa dell’età avanzata. Significativa per testimoniare il clima di ristabilita collaborazione fra il clero e il regime è una lettera scritta a Mussolini, di cui si trascrive l’ultima parte, nella quale l’arcivescovo dimissionario avanzava al duce richiesta di sussidio per la ristrutturazione della Cattedrale di Cosenza:

Gli Enti come i privati, qui in Cosenza, per le generali condizioni dei tempi, non sono in condizione di potere aiutare efficacemente un’opera così importante, pur mostrando tanta buona volontà ed interessamento.
Non ci resta che ricorrere al cuor del nostro gran Duce per un sussidio straordinario, che valga a sollevare questo stato di cose, dando modo di proseguire i lavori, un sussidio, dico, degno del Donatore e di un’opera che appassiona tutti e che stava tanto a cuore al sempre compianto nostro conterraneo Quadrumviro Michele Bianchi, per opera del quale si ebbe il primo sussidio Governativo.
Grande, Eccellenza, è la fiducia nell’opera sua e ci auguriamo di vederla al più presto mutata in gratitudine e riconoscenza imperitura.

Dell’Ecc.za Vostra sempre dev.mo

+Tommaso Trussoni

Cosenza, agosto 1934 – XII

Il 22 agosto 1934 venne nominato Arcivescovo di Cosenza, mons. Roberto Nogara. Con lui continuò la collaborazione con il regime: ogni iniziativa governativa che non contrastasse con il ruolo e gli interessi della chiesa trovava sostegno mediante la pubblicazione sul <<Bollettino>>, da lui redatto personalmente: la propaganda per l’incremento della produzione del grano e della produzione agricola in genere, la lotta contro le piralidi del granturco, la propaganda per la diffusione del baco da seta, la campagna contro la tubercolosi e per la protezione antiarea. Ma quando i provvedimenti fascisti invadevano il campo d’azione cattolico, egli fu pronto a segnalarne i pericoli: già nell’agosto 1935 segnalava il pericolo del <<sabato fascista>> riprendendo alcune riflessioni della rivista <<Scuola e clero>>.
Subito dopo il suo ingresso nella diocesi chiamò don Luigi Nicoletti a dirigere il giornale diocesano <<Parola di vita>> nonostante le resistenze delle autorità competenti, visto il suo passato nel partito popolare.
La guerra d’Etiopia (3 ottobre 1935) lo trovò disponibile a un atto di comprensione verso i motivi del suo scoppio.
La raccolta di oro promossa dal governo per superare le difficoltà economiche lo trovò pronto a dare la sua offerta personale senza, peraltro, permetterne la partecipazione ufficiale della Chiesa.
Nel ’38 il <<Bollettino>> della diocesi si schierò apertamente contro l’orientamento razzista del nazismo.
Nogara seguì con attenzione questo problema e portò tempestivamente a conoscenza del clero e del popolo gli interventi più significativi del Vaticano. Il <<Bollettino>> di maggio pubblicò un articolo dell’<<Osservatore romano>> sul razzismo nel quale, con ricchezza di particolari, si riprendevano le argomentazioni di un giornale viennese relative alla teoria nazista della superiorità della razza nordica rispetto alla razza mediterranea. Questo articolo aveva la finalità di mettere in evidenza che l’accettazione del razzismo avrebbe esplicitamente significato la condivisione della teoria dell’inferiorità degli italiani.
Il <<Bollettino>> successivo pubblicò un altro intervento: una lettera del Segretario della Congregazione dei seminari e delle università che dichiarava <<assurde>> otto proposizioni sul razzismo e invitava tutti gli insegnanti di queste istituzioni cattoliche a trarre <<assiduamente dalla biologia, dalla storia, dalla filosofia, dall’apologetica e dalle discipline giuridiche morali le armi necessarie per confutare validamente e competentemente tali affermazioni>>.
Un episodio significativo avvenne l’11 giugno dello stesso anno. Il segretario provinciale della Confederazione fascista dei lavoratori dell’agricoltura di Cosenza segnalò a mons. Nogara che don Alfredo Chiappetta, parroco di Guardia Piemontese, comune marittimo in provincia di Cosenza, aveva collaborato <<con fede e passione fascista>> a una manifestazione in onore di un membro del Gran consiglio del fascismo. L’Arcivescovo annotò di suo pugno in calce alla lettera: <<Fede(?) fascista, non fede degna di Ministro di Cristo: per questo per parte mia gli ho espresso tutto il mio biasimo>>. Era evidente la linea che così emergeva: la rivendicazione di una autonomia della chiesa contro ogni sopraffazione fascista.
Famoso fu, infatti, il discorso, la cui pubblicazione fu ostacolata dal ministro degli interni, pronunziato da Pio XI a difesa delle idee antirazziste dell’Azione Cattolica perseguitata dal regime. Dopo aver affermato che l’Azione Cattolica e la Chiesa erano la stessa cosa, che cattolico significava <<universale, non razzistico non nazionalistico, nel senso separatistico di questi due attributi>>, il papa affrontò il problema del razzismo affermando che il genere umano era <<una sola, grande, universale, razza umana, un grande e solo genere, una grande e sola famiglia di viventi>>, e che le variazioni fra gli uomini erano come le variazioni che si ritrovano nelle grandi composizioni musicali, le quali ripetono spesso e in modo diverso lo stesso motivo. Aggiunse ancora: <<Ci si può quindi chiedere come mai, disgraziatamente l’Italia abbia avuto bisogno di andare a imitare la Germania>> e, dopo aver affermato che bisognava prendersela con la Chiesa e non con l’Azione cattolica, perché chi colpiva l’Azione cattolica colpiva il Papa, terminò il suo discorso sostenendo che la presenza dei giovani di 37 nazioni nello stesso Collegio era la prova vivente del modo di pensare della Chiesa per la quale essi erano tutti <<figli della medesima madre, della stessa famiglia; tutti cari e allevati alla comune mensa della stessa verità e degli identici beni>>.
A questo discorso del Papa, mons. Nogara fece seguire nello stesso numero del <<Bollettino>> una lettera al clero della diocesi e un altro articolo sull’<<Osservatore romano>>. Nella lettera, intitolata significativamente Sentire cum Ecclesia, invitava il clero ad <<Avere sempre innanzi l’insegnamento della Chiesa contro il disgregamento che si viene perpetrando dalla Società umana colle recenti teorie di Stato totalitario, di nazionalismo e razzismo esagerato, teorie e principi che contenevano in germe la guerra tra i popoli, la schiavitù dell’individuo nello Stato e quindi l’annientamento della personalità umana e della società familiare>>. Nell’articolo l’Arcivescovo interpretando il discorso del Papa, metteva in evidenza sia le contraddizioni tra le dichiarazioni rilasciate dal Duce in tempi diversi, sia quelle di alcuni studiosi italiani che avevano stilato un apposito documento. Nogara, pur ammettendo che il pontefice avesse parlato di <<imitazione>>, lo fece con notevole cautela e con qualche distinguo. Pur tuttavia confermò che in Italia si era passati dalla <<difesa della razza>> al <<razzismo>> e che in questo consisteva l’imitazione fascista della Germania.
Alla fine dell’intervento Nogara faceva riferimento alla questione ebraica, per il resto quasi completamente ignorata nei suoi interventi.
In Nogara era netta la distinzione tra l’antisemitismo razzistico dei nazisti, esplicitamente anticristiano e un <<antisemitismo di difesa>>, molto diffuso negli ambienti clericali, contro la prepotenza dell’ebraismo. Pur nella sua ambiguità le parole del vescovo lasciavano trasparire una disponibilità ad accettare positivamente eventuali misure di contenimento e di discriminazione degli ebrei.
Nel numero di novembre il <<Bollettino>> ritornò ancora una volta sul problema del razzismo, riportando un nuovo discorso del Papa rivolto il 6 settembre ’38 ai maestri di Azione Cattolica.
Nonostante tutti gli interventi di Pio XI e dei vescovi italiani, Mussolini non si fermò e il 6 ottobre ’38 il Gran Consiglio del fascismo approvò la Carta della razza, che dichiarava non trascrivibili, e perciò privi di effetti civili, i matrimoni fra ariani ed ebrei. La denuncia del vulnus al Concordato del Papa su questo punto provocò una recrudescenza delle vessazioni fasciste contro l’Azione Cattolica. Le violenze fasciste ai danni dei circoli cattolici intendevano con ogni probabilità distogliere la Chiesa, impegnata a rivendicare la propria libertà, dall’intromettersi in altre questioni incombenti.
Nel suo incontro natalizio con i cardinali Pio XI denunciò questa situazione affermando che senza alcun dubbio essa era dovuta al fatto che <<dall’alto dovevano partire larghi gesti di permissione e di incoraggiamento perché quelle vessazioni non cessassero nei diversi luoghi da un capo all’altro della Penisola>>.
Segnalando sia questa dichiarazione pontificia, sia le precedenti, Roberto Nogara continuò il suo insegnamento con una lettera pastorale che riconfermava la necessità della fedeltà dei cattolici alla Chiesa e al Papa in particolare, e poi pubblicando e facendo sua una notificazione dell’Arcivescovo di Firenze, mons. Elia Dalla Costa che, pur avvertendo la necessità di procedere con cautela nei rapporti, con il mondo ebraico, riconfermava il rifiuto delle dottrine razzistiche e l’invito a non obbedire alle leggi in contrasto coi comandamenti divini.
Sul tema del razzismo e nei confronti del nazismo, Nogara seguì inizialmente la linea di Pio XI, riportandone numerosi discorsi, poi si discostò da questa posizione, preferendo assumere un atteggiamento meno radicale e coincidente con la linea allora prevalente negli ambienti della curia.
Molti furono i pronunciamenti della chiesa in questo periodo: l’impressione è che la reazione delle gerarchie ecclesiastiche fosse più dovuta, in una prima fase, alla preoccupazione che il regime fascista seguisse l’atteggiamento razzista del nazismo e, successivamente, al vulnus arrecato al concordato dalle leggi razziali, che ad una vera e propria difesa dei diritti degli ebrei, come dimostra anche il fatto che solo alcune delle proposizioni del manifesto furono dichiarate assurde.
Ancor meno netta fu la coincidenza di posizioni fra l’Arcivescovo cosentino e il Papa sull’antisemitismo, tema sul quale, come si è visto, il pontefice fu uno dei più decisi. Pur riportando anche su questo argomento i discorsi pontifici, la posizione di Nogara fu quella detta del <<giusto mezzo>>: condanna dell’antisemitismo estremista in ossequio ai principi di carità e fratellanza, ma non di una discriminazione fondata sul Talmud che prevedesse anche misure di contenimento e di repressione.
In conclusione, si può affermare che l’episcopato cosentino non tenne in quegli anni una linea autonoma, le posizioni dei due vescovi che si sono avvicendati nel ventennio, nei confronti del fascismo e dei principali avvenimenti di quegli anni, ricalcarono quasi perfettamente quella predominante nelle gerarchie centrali.
In tale contesto assume rilevanza la straordinaria esperienza intellettuale di don Luigi Nicoletti, che, nel breve periodo di direzione di <<Parola di vita>>, fu artefice di una coraggiosa opera di chiarificazione ideologica sull’eterogeneità del cristianesimo rispetto al fascismo e al nazismo.
Pur non rinvenendo nei suoi scritti nessun accenno di dissenso nei confronti del regime fascista, Nicoletti rappresentò senz’altro un elemento di differenziazione rispetto all’ambiente cosentino di quegli anni, costituito prevalentemente da un clero che aveva dato la sua convinta, alcune volte entusiastica, adesione a tutte le iniziative del fascismo. La diversità del personaggio, insofferente e pieno di riserve nei confronti del regime rispetto a tanti suoi "colleghi" assai favorevoli si estrinsecò in ripetuti richiami ad attenersi ad una condotta e ad un’azione realmente ed esclusivamente, cristiana, e a diffidare dell’ossequio, tutto esteriore, del regime fascista. Le insofferenze e le riserve erano dovute non al minore o maggiore spazio che il regime concedeva – le strutture cattoliche godevano in quel periodo di un più ampio spazio rispetto ad altre organizzazioni –, ma al fatto che non si riteneva il fascismo lo "strumento ideale" per una "cattolicizzazione" della società.
Se dietro queste affermazioni ci fosse qualcosa di più, vale a dire un antifascismo, non è possibile affermarlo facendo riferimento a quello che don Luigi Nicoletti e i suoi collaboratori scrissero sul giornale diocesano. In un periodo in cui il dissenso era limitato – gli intellettuali scrivevano perlopiù su testate straniere o clandestinamente – i suoi tentativi, come direttore del periodico, di dare meno spazio possibile alle opere del regime, le sue prese di posizione sul razzismo, i suoi attacchi agli ambienti clerico- fascisti, i suoi inviti a non giustificare qualsiasi azione con la lotta al comunismo e al liberalismo, il non essere perfettamente allineato insomma, pur nella posizione di sacerdote di una chiesa, per tradizione e natura illiberale, che accettò l’accordo col fascismo, sono comunque una dimostrazione di coraggio da non sottovalutare.
È da ricordare inoltre che la posizione di don Luigi Nicoletti non era la più favorevole per esprimere giudizi più decisi. Egli ebbe notevoli difficoltà, sia per il suo passato nel partito popolare sia per il suo atteggiamento nei confronti del fascismo, ad ottenere l’autorizzazione a dirigere il giornale ed era per lo stesso motivo costantemente sotto controllo. <<Parola di vita>> subì la pressione del regime, che si concretizzò in severi interventi ufficiali – come nel caso dell’isolata critica a Mussolini in occasione del concordato –, in richiami a dare più spazio alle opere del fascismo – in occasione della presa di Adua e dell’accordo di Monaco -, per continuare con l’allontanamento ed il conseguente esilio di Nicoletti, per l’articolo sulle leggi anti-ebraiche e, infine, con la breve soppressione del giornale in prossimità dell’entrata in guerra dell’Italia.
L’allontanamento di don Luigi Nicoletti e lo scoppio della seconda guerra mondiale, contribuirono a concludere il periodo di polemica con il regime e a portare alla fine del particolare momento che si era creato, dall’avvento del regime, tra una parte, minoritaria, del clero cosentino e il fascismo.

Tratto da: http://www.comune.cosenza.it/cs/storia/mannarino/cef.htm

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