Papa Giovanni
e il culto delle reliquie
di Sergio Luciano |
"Dalla polvere veniamo e nella polvere ritorneremo": con questa formula, cruda ma inequivocabile, la morale cristiana, ed anche quella specificamente cattolica, dovrebbe considerare di aver chiuso definitivamente l'argomento del rapporto tra corpo e spirito, tra carne ed anima, rispetto all'aldilà ed alla vita - appunto - spirituale contrapposta a quella terrena. Nella tradizione pratica della comprensiva Chiesa Cattolica, però, il culto delle reliquie è sempre stato assai vivo, ed è sempre stato non solo tollerato ma addirittura appoggiato: perchè l'anima è ciò che conta ma la materia santa - e per definizione i resti dei Santi sono appunto "materia santa" - contano altrettanto. Per questo, sparsi qua e là in centinaia e migliaia di chiese, tutti i cattolici sanno di poter trovare pezzi e pezzetti di ossa, di corpi, di organi interni, di abiti, di suppellettili varie appartenuti ai santi. Questo genere di culti, spesso confinanti nella superstizione, trova un grado più o meno forte di adesione da parte delle gerarchie ecclesiastiche a seconda dei casi. Si va dal sangue di San Gennaro o dalla Sindone, davanti ai quali s'inchinano Cardinali e Papi, alle lacrime sanguigne della Madonna di Civitavecchia che mai il Vaticano ha voluto riconoscere come "autenticamente soprannaturali". Ma quel che sta succedendo nel caso delle spoglie mortali di Papa Giovanni XXIII, Papa Roncalli, il "Papa buono", introduce una forte discontinuità nell'atteggiamento del Vaticano degli ultimi tempi, sicuramente del Pontificato di Woytjla. In un'epoca che ha visto perfino i post-comunisti di Mosca sbaraccare dal Mausoleo della Piazza Rossa la salma imbalsamata di Lenin; in un'epoca in cui è chiaro che la conservazione del corpo nel tempo può non aver nulla di miracoloso, in un caso in cui - per spontanea ammissione del Vaticano - il buono stato di conservazione del corpo di Papa Roncalli deriva essenzialmente da un trattamento chimico praticato alla salma subito dopo la morte; è lecito chiedersi che senso abbia l'esporre, in una teca di cristallo, per l'avvenire e "sine die", il cadavere di un Papa che forse è stato santo ma che sicuramente non per questo oggi conserva pressochè immune dalla decomposizione il suo corpo materiale. Le ragioni simboliche ed evocative della scelta di Wojtyla sono in realtà forti, come ben spiega nella sua analisi Alceste Santini. Eppure non è detto che bastino a giustificare una scelta così impressionante, così pesante, quasi greve. Perchè questa decisione, che può sembrare un'impennata di superstizione, di materialismo spirituale? Perchè questa ricerca di simboli suggestionanti più ancora che suggestivi? Perchè, se proprio la religione cristiana nella sua vulgata cattolica, pur incoraggiando l'uso delle immagini di culto, non cessa di ricordare che ciò che conta è lo spirito, e che nella Valle di Josafat non risorgerà un bel niente, quanto meno nel senso materiale e corporeo che si potrebbe intendere? Papa Giovanni è stato ed è un mito popolare di straordinaria forza. Era ed è il Papa più amato. Ma se il suo corpo è intatto lo si deve a un prodotto chimico, non è un miracolo, è una simulazione di miracolo, di cui certo non porta lui la colpa. Ma come la "lingua del Santo" nella Basilica di Sant'Antonio a Padova, o il corpo mummificato di Santa Lucia a Venezia, così anche per il "Papa Buono" qualcuno ha voluto un futuro da reliquia pagana. Sarà utile, evidentemente, alla "Causa" del cattolicesimo: e se è utile al suo Apostolato, che Papa Wojtyla - così bravo nel difendere e diffondere il credo nel mondo - faccia pure tutto quel che pensa sia giusto fare. Però c'è forse un modo credente ma più intimista, sostanzialista e - in qualche modo - più vero di guardare al culto delle reliquie: come a un culto dalle radici antiche che merita rispetto ma non repliche. (Tratto da www.ilnuovo.it del 2 GIUGNO ORE 23) |