La traduzione di Romani 9:5

 

di Greg Stafford

 

SOMMARIO

      1. Introduzione
      2. Analisi della traduzione
      3. Evidenze dalle prime traduzioni
      4. La punteggiatura nei primitivi manoscritti greci
      5. Romani 9:5 secondo i primi Padri della Chiesa
      6. Analisi grammaticale
      7. Considerazione contestuali
      8. Significato teologico
      9. Conclusioni

 

I. Introduzione

 Nel tentativo di rispondere alla domanda: «Gesù è chiamato Dio nel Nuovo Testamento?» gli studiosi hanno dovuto considerare la traduzione e il significato di molti passi scritturali oggetto di disputa , uno dei quali è Romani 9:5. Le conclusioni avanzate in relazione alla potenziale applicazione in questo testo della parola Dio a Gesù Cristo spaziano dal «certo»[1] all’»oscuro»[2], fino a dichiarare che «Cristo non è considerato Dio in [Romani 9:5] [3].

Lo scopo di questo articolo non è di far pendere l’ago della bilancia a favore dell’una o l’altra conclusione, ma di ‘sgombrare il campo’, così da poter parlare. Questo equivale a dire che, benché ci siano molte opinioni diverse sulla traduzione di Romani 9:5 troppo spesso gli argomenti sostenuti dagli scrittori trinitari danno una veduta incompleta dei problemi e degli argomenti rispetto agli studiosi e scrittori non-trinitari. Non voglio in nessun modo dire che tali omissioni siano necessariamente deliberate, ma tuttavia esistono.

Perciò si crede da parte di questo scrittore che una rivalutazione delle numerose questioni riguardanti la discussione su come tradurre Romani 9:5 possa esser utile sia a chi accetta la scrittura come una affermazione della deità di Gesù, sia a chi sostiene il contrario. Forse la considerazione farà si che taluni che non sono troppo sicuri della traduzione di questo testo propendano poi per l’una o l’altra conclusione. Qualunque sia l’impatto che la successiva trattazione avrà sulla traduzione di Romani 9:5 si spera che in qualunque futura discussione circa l’applicazione a Gesù di Theos si presti maggior attenzione all’effetto potenzialmente dannoso che tale applicazione ha sul concetto trinitario di Dio.

Se propriamente compresa l’affermazione che Gesù sia dio, può facilmente contraddire l’affermazione che ci sia un solo Dio, e che quel Dio sia una deità trina. Tale veduta di Dio sia essa compresa/accettata o meno, in effetti identifica Gesù (come qualsiasi delle tre persone della trinità) come lo stesso Dio trino, senza che il termine Theos sia selettivamente ridefinito come termine riferito a una «persona» (al quale termine viene anche dato un significato tecnico, non biblico) di Dio, che condivide tale natura in modo totale e uguale non le altre due «persone»

In questa luce la domanda: «Il Nuovo Testamento chiama Gesù, Dio?», acquista nuovo significato. Se dovutamente apprezzata la risposta a questo interrogativo dovrebbe spingere i trinitaria a rivalutare la base delle loro vedute prendendo nota dei fatti significativi relativi alla traduzione dei testi come Romani 9:5, che sono stati precedentemente solo sfiorati o commentati con leggerezza in special modo riguardo al significato di Theos. Non c’é dubbio sul fatto che il Logos, il Gesù Cristo preumano, sia chiamato Theos (Giov. 1:1, 18). Ma è egli anche chiamato «il Dio che é sopra tutti «, o una simile variazione di Rom. 9:5? Ora ci rivolgiamo a questa questione, dopo di che riconsidereremo le implicazioni teologiche di tale traduzione.

 

II. Analisi della traduzione

 Secondo la Traduzione del Nuovo Mondo (di seguito NWT), la parte finale del versetto (riferita a «Dio, che è sopra tutti»), è distinta rispetto al precedente riferimento al «Cristo». Nell’appendice 6D della NWT del 1984 con riferimenti, sono citate numerose altre traduzioni, incluse la Revised Standard Version; la New English Bible, la Today’s English Version, la New American Bible, e la traduzione di Moffatt, che rendono il versetto come la NWT: In questo gruppo possiamo aggiungere anche la traduzione di Goodspeed.

 Ci sono però altre traduzioni che identificano Cristo in questo versetto, come «Dio, che è sopra tutti», incluse la New International Version, New American Standard Bible la New Revised Standard Version la Modern Language Bible e la traduzione di C.B. Williams del Nuovo testamento. Nonostante la differenza delle opinioni espresse da queste pur quotate traduzioni è francamente, sorprendente che taluni difensori della dottrina trinitaria facciano dichiarazioni dogmatiche su questo versetto, alcune delle quali saranno considerate in seguito Ciò che è straordinario, circa tali affermazioni, è che coloro che le fanno, sembrano apparentemente inconsapevoli che le loro stesse dichiarazioni su Romani 9:5 contraddicano il concetto trinitario di Dio. Anche questo sarà spiegato in seguito. Prima di tutto, comunque faremo un’approfondita indagine su argomenti che hanno diretta relazione con il nostro testo base.

 

III. Evidenze dalle prime traduzioni

 Secondo Bruce Metzger [4], la Vetus Latina è indeterminata, in quanto privo di punteggiatura, se si fa eccezione per i due punti che precedono la parola «Amen». Lo stesso si può dire del codice Amiatinus, per cui Metzger ritiene corretto il ritmo del testo secondo l’edizione di Wordsworth e White, che rende la seconda parte [del versetto] più facile, dal suo punto di vista, se riferita al Cristo, piuttosto che ritenerla una affermazione indipendente. Metzger presenta anche traduzioni dalla Peshitta, Harcleana Siriaca, e le versioni Sahidica e Boharica Copta, la Gotica, le versioni Armena e Etiopica, che applicano il termine «Dio a Cristo in Romani 9:5.

Quanto sopra costituisce evidenza in favore della lezione del versetto come reso dalla NIV e altre traduzioni similari, ma questa primitiva evidenza si oppone a altre evidenze che hanno relazione alla stessa trasmissione del testo greco.

 

IV: Punteggiatura negli antichi manoscritti greci

 Alcuni manoscritti greci antichi gettano luce su come questo passaggio veniva compreso da gli stessi scribi. Alcuni di loro, incluso il codice A, hanno un punto di sospensione dopo la parola «carne», che crea una pausa o un distacco tra il riferimento a «Cristo» e quello a «Dio»: Altri manoscritti, come il B, L, 0142, e lo 0151, hanno un punto alto dopo «carne», che indica pure una pausa o sospensione di questo tipo [5]. Metzger Nota anche che lo scriba del C lascia un cospicuo spazio tra «carne« e il resto del versetto[6].

In base all’uso della punteggiatura in alcuni di questi manoscritti in altri punti dove non c’è una chiara interruzione nella frase è incerto proprio come dovremmo considerare il punto dopo «carne» in Romani 9:5. Però, mentre alcuni segni di punteggiatura ai quali Metzger fa riferimento sono invero posti in modo strano; nel conteso del codice A, la punteggiatura non pare venga usata in così tanti punti insoliti, e inoltre A usa un punto medio o alto e ciò che sembra un piccolo spazio tra sarka e l’articolo ho.[7] Metzger ha probabilmente ragione quando dice che «ciò che tutt’al più può essere inferito dalla presenza di un punto nella posizione mediana dopo savrka [sarka, ‘carne’], in una maggioranza di manoscritti onciali è che gli scribi sentivano la necessità che qualche tipo di pausa fosse appropriata in quel punto della frase [8]». La stessa conclusione era stata raggiunta da Ezra Abbot un centinaio di anni prima [9].

 

V. Romani 9:5 per i primi padri della Chiesa

 Metzger fa riferimento a numerosi scrittori della Chiesa cristiana primitiva, che applicano le parole di Romani 9:5 completamente a Cristo. Per esempio si riferisce a Ireneo del secondo secolo (E.V.), Tertulliano, Ippolito, Noviano e a una lettera dai sei vescovi a Paolo di Samosata del terzo secolo, come pure un buon numero di scrittori del quarto secolo (inclusi Atanasio, Basilio, Ieromo ed altri), questo per dimostrare che questo passo è stato compreso fin dai primi tempi come se si chiamasse Cristo «Dio».

Riguardo all’uso di Romani 9:5 da parte di Ireneo, Abbot fa notare che egli «non cita la scrittura per dimostrare che Cristo sia Theos (Dio)» Inoltre egli osserva: «Il suo argomento insiste su [‘dai quali venne il Cristo secondo la carne’], e non sulla seconda parte dl versetto, sul quale non fa alcun rilievo».[10]. A sostegno di questa interpretazione si può notare che Ireneo cita Romani 9:5 tra le scritture di Romani 1:1-4 e Galati 4:4,5, entrambe usate per dare enfasi al fatto che Dio ha mandato suo figlio «secondo la carne».[11] Inoltre, come evidenzia ancora Abbot «il testo [di Ireneo] è preservato solo nella versione latina antica, il che, naturalmente non può determinare la costruzione che Ireneo fa seguire al greco»[12]. Su come Ireneo possa aver interpretato il testo greco dell’ultima parte di Romani 9:5 possiamo semplicemente notare che «dato la sua opera contro le eresie, e molto spesso , egli usa il titolo ‘Dio sopra tutti’ come l’esclusiva designazione del Padre[13]».

Ippolito fa riferimento a Romani 9:5 per due volte nella sua opera contro l’eresia di Noeto. Il primo riferimento è usato in relazione all’argomentazione dei Noetiani che Cristo si identificasse con il Padre![14]. Ippolito poi usa Romani 9:5 a sostegno del suo proprio punto di vista che Cristo sia il «dio sopra tutti «, in quanto il Padre ha consegnato ogni cosa a Lui (paragona Matt. 11:27).[15] Egli fa pure riferimento a 1 Corinti 15:23-28 e a Giovanni 20:17 per dimostrare che mentre Cristo e invero il «Signore sopra tutti», il Padre è il «Suo Signore». Così, la grammatica del passo è tale che i Noetiani si sentivano giustificati nel vedere il riferimento a Cristo coma al Padre in Romani 9:5. Ippolito ritenne l’intero testo come un riferimento a Cristo in qualità di «Dio sopra tutti» in una versione in qualche modo trinitaria, ma qualifica l’uso del ‘sopra tutti’ in modo tale che il Padre sia ancora il Signore sopra Cristo.

Ippolito applica il termine «Dio» a Cristo in Romani 9:5 in modo da essere in armonia con l’analogia di Ippolito della «luce dalla luce, o dell’acqua dalla fontana o un raggio dal sole.»[16]. La Bibbia non usa il termine Dio in tal senso, né fa uso di tali analogie quando tratta l’argomento del Logos come Dio in relazione a Dio il Padre.

Come riferito in precedenza Metzger cita anche Tertulliano e altri primitivi scrittori cristiani, nonché documenti come evidenza che il Theos di Romani 9:5 possa essere compreso come riferito a Cristo. Metzger, tuttavia fa riferimento ad almeno due Padri greci, che applicano la seconda parte di Romani 9:5 al Padre e precisamente Tarso e Fotio[17]. Abbot ha molto da dire sull’uso di Romani 9:5 da parte dei primi scrittori, per cui preferiamo rinviare la sua discussione per ulteriori considerazioni sulla questione[18]. Le annotazioni conclusive di Metzger riguardo alle evidenze dai primi scrittori si possono riepilogare qui:

Il peso dell’evidenza patristica va valutato secondo una corretta prospettiva. Da un lato si deve considerare che i Padri greci possedessero una sensibilità unica per capire le sfumature di un passo scritto nella loro propria lingua. D’altra parte, però, nel caso in questione sussiste la probabilità che interessi dogmatici possano aver influenzato (e in molti casi hanno influenzato) la loro interpretazione. E’ perciò prudente non fare eccessivo assegnamento sul sovrabbondante consenso dell’interpretazione patristica circa il significato di questo passaggio. Infatti la prevalente interpretazione di questo versetto da parte dei Padri è completamente controbilanciata da ciò che abbiamo visto circa la prevalente tradizione scribale della punteggiatura negli ultimi manoscritti, neutralizzando ogni tradizione la forza dell’altra[19].

 

VI. Analisi grammaticale

 Poiché il significato di questo versetto nelle nostre moderne traduzioni dipende dalla apposizione della punteggiatura possiamo chiederci se ci siano delle indicazioni grammaticali che ci aiutino a decidere quale soluzione sia migliore. Le due chiavi interpretative ruotano intorno alla domanda se in Romani 9: 5 si abbia una dossologia (ascrizione di lode e gloria) al Dio e Padre di Gesù (confronta Romani 15:5,6) per aver mandato suo figlio, Messia secondo la carne, oppure se il Dio qui menzionato sia Cristo stesso.

La prima delle due opzioni menzionate sopra non ritiene il ‘Dio che è sopra tutti come una apposizione (cioè riferito a ciò che precede, definendolo ulteriormente) a «Cristo». Piuttosto lo considera come il soggetto di una dossologia che si conclude come «sia lodato/benedetto per sempre». La seconda versione considera invece l’espressione «Dio che è sopra tutti» come una apposizione per «Cristo secondo la carne», il che creerebbe un conflitto con l’idea trinitaria circa la deificazione della natura umana di Cristo. Ma Harris[20] ed altri tentano di trovare in questo versetto una antitesi tra le nature umana e divina di Cristo, che ritengono presenti in una sola «persona».

L’argomentazione di Harris pare sorvolare il semplice fatto che Paolo sta qui usando il termine «secondo la carne», esattamente come aveva fatto con l’espressione «i miei parenti secondo la carne» due versetti prima. Il Messia non apparve semplicemente tra il popolo di Israele come Salvatore e Signore, ma egli era di Israele, essendo nato dalla linea di discendenza di Davide. Non esiste antitesi al versetto 3 e non è necessario che la semplice presenza di kata sarka [kata sarka] (secondo la carne) includa qualcuno con «Dio che è sopra tutti» nel versetto 5. Il fatto che Paolo possa omettere l’espressione «secondo la carne» al versetto 5 non è più significativa della possibile omissione della stessa espressione al versetto 3, concludendo la sua dichiarazione con la parola «parenti».

Per i trinitari, qualsiasi antitesi in Romani 9:5, dovrebbe essere priva di qualsiasi ulteriore attributo all’individuo definito come Messia definendolo anche il «Dio che è sopra tutti»[21]. Non c’è nulla che suggerisca che il «Dio che è sopra tutti» possa correttamente essere interpretato, in accordo al contesto del NT, come riferito alla natura divina di una persona, che non sia al contempo la persona stessa[22].: Una vera e propria antitesi coinvolgerebbe necessariamente due entità, come indica lo stesso esempio di Harris relativa a sarx e theos (la carne e Dio)[23].

Harris sostiene che molto facilmente il soggetto che precede la dossologia ne è anche il riferimento, cioè Cristo stesso. Dichiara inoltre che in ogni dossologia del NT si trova un collegamento esplicito tra la dossologia stessa e la parola o le parole che precedono.

Naturalmente è abbastanza possibile considerare o on epi panton (ho on epì pànton = colui che è sopra tutti ) in riferimento a «Cristo», cominciando la dossologia con «Dio» e non con o on (ho on = colui che). Ma lo stesso Harris fa notare che ho on può introdurre un nuovo soggetto[24], come in Giovanni 3:31.[25]

Giovanni 3:31 non è una dossologia. Però in Romani 9:5 la dossologia include la parola eulogetoV (eulogetòs «benedetto»), che altrove (n versetti diversi da Romani 9:5) è usata sei volte come aggettivo in dossologie riferite a Dio il Padre (Lu 1:68; Ro 1:25; 2Co 1:3; 11:31; Ef 1:3; 1Pt 1:3)e in una occasione viene sostantivato (cioè usato come nome) nei confronti di Dio Padre. In nessun luogo viene usato come parte di dossologie riferite a Cristo.

In relazione al sovrastante uso di theos riferito al Padre negli scritti di Paolo[26], e del contesto unico di Romani 9:5 (vedi in seguito) non c’è nulla di strano nell’attribuire le parole che seguono l’espressione «secondo la carne», come una dossologia rivolta a colui che è responsabile della venuta di Cristo, come contenuta espressione di lode e grazie a colui che viene frequentemente nominato e distinto da Cristo nei precedenti otto capitoli di Romani. Invero 1 Pietro 1:3 comincia con una dossologia al «Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo», ma qualsiasi collegamento con ciò che precede è destinato a saltare come implicito riferimento a essere umani (vale a dire con l’espressione «Vi» cioè i «residenti temporanei del versetto 1 )o a Gesù Cristo. quindi non vi è alcuna necessità di diretta corrispondenza tra il soggetto della dossologia e il soggetto o i soggetti delle espressioni immediatamente precedenti. (vedi anche 2 Co 1:3).

Se, però, noi consideriamo la frase che comincia con ho on o con theos come una dossologia riferita al Padre; perché allora eulogetòs («benedetto») non segna il punto di inizio della stessa dossologia come in tutti gli altri casi in cui il termine appare come parte di una dossologia separata? Anche se non considereremmo Salmo 67 (68):19-20 come «la chiave di volta per l’interpretazione di passaggi controversi del NT»[27] rimane il fatto che in questo testo la LXX pone eulogetòs dopo kyrios ho theos. e quindi nella proposizione successiva lo mette prima di kyrios. Ciò indica che qualsiasi collocazione è accettabile[28]. E’ interessante notare che mentre sia Harris che Metzger fanno esplicito riferimento alla collocazione abituale di eulogetos davanti al soggetto da parte di Paolo a sostegno della loro posizione, viceversa sorvolano completamente il maggiormente stabilito e più comune uso di Theos nelle lettere paoline. Metzger argomenta altresì che uno scrittore possa scostarsi dall’uso abituale che fa di un termine o addirittura farne uno nuovo in taluni particolari casi[29]. Tuttavia ha alcune piccole difficoltà ad accettare la posizione di eulogetos in Romani 9:5.

Inoltre non ritengo che Harris abbia apprezzato appieno l’osservazione di Abbot circa la posizione di eulogetòs in Romani 9:5. Egli dice semplicemente che Abbot ha posto eulogetos dopo theos perché «Paolo vuole così dar peso alla superna provvidenza di Dio come il «governante sopra tutti»[30]. Il punto di vista di Abbot è però costruito su una analisi critica del contesto che conduce a Romani 9:5, analisi che mostra come Paolo sia concentrato sul concetto di Dio come colui che governa sopra tutte le cose, «colui che ha cura per tutti gli uomini e che controlla tutti gli eventi [31] (come quelli che hanno condotto alla comparsa del Messia secondo la carne)

Abbot conclude: «Nelle dossologie semplicemente esclamatorie eulogetoV [eulogetòs] o eulogemenoV [eulogemenos] viene prima poiché il sentimento che lo incita è predominante e può essere espresso con una singola parola, Qui, però, dove il pensiero della sovrastante provvidenza di Dio è prevalente l’espressione o& w#n e*piV pantwn [ho on epì pantòn] deve essere posta prima nella frase per esprimere tale prominenza e la posizione successiva di eu*loghtoV [eulogetòs ] è richiesta dalla stessa regola della lingua greca che regge tutti gli esempi addotti contro la costruzione dossologica del passaggio [32].

 

VII. Considerazioni contestuali

 Metzger sostiene che «in vista della lamentazione dell’apostolo sull’errore degli ebrei che non avevano fatto proprie le prerogative divine accordate loro pare non esserci alcuna spiegazione psicologica che sostenga l’introduzione di una gioiosa dossologia nei confronti del Padre». Aggiunge: «Sia logicamente che emotivamente tale dossologia interromperebbe la catena di pensieri e sarebbe incoerente col sentimento di tristezza che pervade i versetti precedenti»[33].Ciò che egli manca di comprendere , però, e che la ‘precedente tristezza’ diviene gioia in Romani 9:5 e questa è espressa con una lode a Dio per aver mandato Cristo «secondo la carne».

Harris, inoltre, manca di apprezzare il senso del contesto che conduce a Romani 9:5, in relazione a come, invero, sostiene una dossologia a Dio il Padre. Sia Metzger che Harris, anche se fanno frequenti citazioni della discussione di Abbot su Romani 9:5 evitano una dettagliata interazione con la sua interpretazione del contesto che porta a Romani 9:5[35]. Persino Timothy Dwight, che è a sostegno di una traduzione della scrittura come riferita a Cristo come Dio e che ritiene che sia quanto precede che quanto segue la scrittura si adatti a questa sua conclusione, ciononostante riconosce: «Non possiamo considerare fuori luogo un’ascrizione di lode a Dio specialmente in questo punto. San Paolo è andato enumerando tutte le particolari benedizioni e onori del suo popolo che avevano dato loro, come egli si rallegra di provare, una posizione esaltata nel mondo. Egli stava dichiarando la sua affezione per loro, senza alcuna inimicizia anche quando era costretto a dire cose che potrebbero sembrare aspre od offensive. Stava testimoniando la sua afflizione per il male che era capitato loro e la sua gioia e l’orgoglio per tutta la loro storia che evidenziava il favore divino. Questi sono i pensieri dei primi cinque versi di questo capitolo. Perché non potrebbe o perché non dovrebbe al termine di questi versi e dopo l’enumerazione di queste benedizioni rompere nell’esclamazione ‘Possa colui che è sopra tutti, Dio essere benedetto per sempre.[36]’».

 

VIII. Significato teologico

 Se Romani 9:5 viene accettato come espressione di lode e grazie a Dio per aver mandato Gesù Cristo attraverso coloro ai quali ‘appartengono i patti [di Dio], l’emanazione della Legge e il sacro servizio e le promesse (Ro 9:4), dovremmo similmente essere mossi ad apprezzamento per l’immeritata benignità di Dio. Invero egli «ha mandato il figlio suo come salvatore del mondo» (1 Gio 4:14).

Però, se accettiamo la traduzione preferita dai trinitari, allora il Cristo si identifica con il «Dio che è sopra tutti e ciò in effetti elimina qualsiasi possibilità che Gesù sia una persona di Dio: I trinitari hanno notevoli difficoltà nell’accettare il fatto che qualsiasi riferimento a Gesù come il Dio con la D maiuscola nella Bibbia contraddice la loro veduta di Dio poiché essi hanno per lungo tempo convinto loro stessi e anche molti loro oppositori che se potessero provare che Gesù (come il Padre e lo Spirito Santo) sia chiamato o identificato come «il Dio» nella Bibbia allora essi avrebbero provato nel loro caso la Trinità, poiché per la Bibbia vi è «un solo Dio». Tali tentativi non sono finiti. Gli sforzi di stabilire la dottrina della trinità per mezzo di equivoci e presupposti errati sono stati esposti per ciò che sono[37].

I trinitari spesso dicono «Gesù è Dio». In vista di ciò può apparire strano che io sostenga che i trinitari in realtà non credano che il Figlio sia Dio, più di quanto credano che il Padre sia Dio (o lo Spirito Santo), ma le cose stanno proprio così. In effetti è vero che i trinitari spesso dicono di credere che il Padre sia Dio e che Gesù sia Dio, ma ciò che essi intendono con ciò e che ciascuno di loro sia una persona divina, il Padre è la prima «persona» nella triade consustanziale (condivisione di essenza), e il figlio è la seconda «persona». Essi ritengono che ciascuno di loro sia una «persona» entro Dio col quale condividono la stessa essenza. Non vi è alcuna divisione della sostanza che essi condividono pienamente ed egualmente.

Così, perché i trinitari ci dicono che credono che Gesù sia Dio quando in effetti ritengono che sia una «persona» di Dio? La ragione è semplice: E’ più facile per un trinitario operare una sostituzione mentale per il termine «Dio» in testi come Romani 9:5 o altrove con l’espressione «una persona di Dio», piuttosto che spiegare ciò che essi credono per «Dio».

Poiché «Dio» è un termine biblico, ‘suona’ abbastanza accettabile e il più delle volte gli altri accetteranno il fatto che se Gesù è chiamato «Dio», allora ci sarà un punto a sostegno della dottrina trinitaria che spiega perché i non-trinitari hanno tradizionalmente cercato di argomentare contro le traduzioni sostenute dai trinitari, opponendosi al loro cattivo uso dei termini coinvolti nella traduzione

Ma se un trinitario è costretto a definire ogni uso di «Dio» e a spiegare come stia usando il termine, cioè per una «persona» di Dio (intendendo una persona del Dio trino) o come riferimento alla trinità, sarà allora chiaro che pensieri ed espressioni post-bibliche si stanno introducendo nella discussione. Questo è esattamente ciò che viene fatto ogni volta che Romani 9:5 viene citato a sostegno della trinità.

 

IX. Conclusioni

 La Traduzione del Nuovo Mondo non è la sola che traduce Romani 9:5 come espressione di lode e grazie a Dio padre. Dalle prime traduzioni abbiamo evidenze a sostegno di quelle moderne traduzioni che rendono il «Dio che è sopra tutti» come Cristo in Romani 9:5. Queste evidenze che includono le versioni Siriaca, Copta, Gotica, Armena ed Etiope e il codice Latino antico e Amiatino sono ambigue.

Alcuni antichi manoscritti greci, incluso l’A, B, C, L, ed altri contengono spazi o segni di punteggiatura che sostengono la versione che non considera Cristo il «Dio che è sopra tutti» di Romani 9:5. L’evidenza dei primi padri della chiesa è mista circa l’applicazione di Romani 9:5 a Gesù che divengono sempre più evidenti dal quarto secolo in poi. Considerando poi che la grammatica del testo stesso consente entrambe le traduzioni, non sorprende che una versione sia preferita a seconda del campo dottrinale di appartenenza.

La grammatica di Romani 9:5 consente sia una versione che ammette la lezione predicativa di Dio per Cristo, sia quella che riconosce una dossologia al Dio e Padre di Gesù. In accordo con l’uso che Paolo fa di Theos in tutta la sua lettera ai Romani e nel resto dei suoi scritti , così come l’uso di eulogetòs in occasioni di lode a Dio in distinzione da Cristo, è più appropriato accettare la versione che rende questo passaggio come una dossologia a Dio Padre. Gli argomenti grammaticali a sostegno della versione di Theos come predicato di Cristo sono rilevanti, ma di certo non incontrovertibili.

L’argomento trinitario che «c’è un solo Dio e che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono tutti identificati come Dio» contiene un equivoco della parola Dio. Nel primo esempio significa «la Trinità» e nel secondo «la persona di Dio». Questi significati sono di solito nascosti dietro ciascun termine stesso, mentre questo termine (Dio) ha il vantaggio di suonare biblico. Il concetto legato al suo uso dai trinitari non ha nulla a che fare con l’uso biblico del termine «Dio» e sono il prodotto di tradizioni non bibliche sviluppatesi secoli dopo la chiusura del canone biblico.

Quando i trinitari usano testi simili a Romani 9:5 per sostenere il loro punto di vista su Dio, la questione sulla traduzione è appropriata, ma ancor più significativa è la controversia circa come i termini in questione vengono usati. In Romani 9:5 la versione dei non trinitari è in una migliore posizione quando si fa riferimento al significato dei termini usati, poiché così facendo si evita una prolissa discussione sulla traduzione del testo stesso circa il sostegno o meno di Romani 9:5 alla dottrina della Trinità.

 

Bibliografia

 [1] A. W. Wainwright, «La confessione ‘Gesù è Dio’ nel Nuovo Testamento» Il giornale scozzese di teologia 10 (1957), 278-282.

[2] Raymond E. Brown «Il Nuovo testamento chiama Gesù, Dio?» Studi teologici 26.4 (1965), 554, 559-560. Brown elenca Rom. 9:5 fra i testi in cui «l’oscurità deriva dalla sintassi» (p. 554) notando che insigni scolastici si trovano su entrambi i fronti (p. 560), Infine Brown conclude che «tutt’al più si può dire che esiste una certa probabilità che questo passo si riferisca a Gesù come Dio». (p. 560).

[3] Vincent Taylor, «Il Nuovo Testamento chiama Gesù, Dio?» I tempi di esposizione 63.4 (1962), 116-117.

[4] Bruce M. Metzger, «La punteggiatura di Rom 9:5», in Cristo e nello spirito del Nuovo Testamento. in onore di Charles Francis Digby Moule, ediz. B. Lindar e S. Smalley (Cambridge: Cambridge Univertity Press, 1973), pag 100-101. La discussione di Metzger sulle prime versioni si trova alle pagg 100-101 di questo articolo.

[5] Metzger, ibid, 97 ritiene che B (mss) abbia un punto medio , ma rivedendo il microfilm del Codice B è abbastanza possibile che B abbia un punto alto e non medio. C’è senz’altro un punto centrale dopo Abraamo nel versetto 7 che è evidentemente più basso del punto al versetto 5 Un punto centrale viene di solito fatto per indicare una pausa per la quale noi useremmo i due punti o una virgola, mentre un punto alto è in genere usato come il nostro punto Un segno simile si trova dopo «Amen» al versetto 5 Il Codice B usa punti medi in tutto il capitolo 8 e il punto dopo [machaira] («spada») al versetto 35. l’altezza è simile a quella dopo «carne» in Romani 9:5. Si può paragonare il punto alto dopo «spada» ai punti medi di Romani 8:35, coi quali si vuole dare una pausa senz’altro minore e non punti.

[6] ibid, 97

[7] La copia del codice A che sto usando nella riproduzione ridotta da parte del British Museum (Londra 1909).

[8] ibid., 99

[9] Ezra Abbot, «Circa la costruzione di Rom ix.5», Giornale di letteratura Biblica 1 (1881), 152

[10] ibid., 136

[11] ANF 1, 441

[12] Abbot, «Circa la costruzione di Rom ix.5», 136

[13] ibis., 136. Benché Rom 9:5 non usi l’articolo prima di epi pantwn qeoV [epi panton theos], mentre le citazioni patristiche fanno precedere dall’articolo i riferimenti al Padre. l’abbandono di Metzger delle citazioni patristiche per questa differenza (Metzger, «La punteggiatura di Romani 9:5», 103 nota 14) sorvola diverse importanti implicazioni che sono sottolineate dalle osservazioni di Abbot: «Se il Padre è ‘Dio sopra tutti’ e Cristo è pure ‘Dio sopra tutti’ sorge spontanea la domanda su come possa il Padre essere tale Dio senza che il termine ‘Dio’ sia applicato anche a Gesù in un senso più basso» (Abbot, «Circa la costruzione di Rom ix 5», 129)

[14] ANF 5, 224

[15] ibid., 225

[16] ibid., 227

[17] Metzger, «La punteggiatura di Rom 9:5», 103

[18] Abbot «Circa la costruzione di Rom ix 5» 133-141

[19] Metzger, «La punteggiatura di Rom. 9:5», 103

[20] Harris, «Gesù come Dio», 155-156.

[21] Così, Harris (ibid. 166, 167) è costretto a ridefinire theos per intendere che Cristo «condivide la natura divina» che è «Dio per natura». Si spinge persino a suggerire che «Paolo mostra che la sua esperienza cristiana e la riflessione lo hanno costretto a ridefinire il suo monoteismo ereditario, così da includere Cristo nella categoria delle Deità» Contrariamente al pensiero di Harris e di altri trinitari non esiste nella Bibbia una «categoria di Deità alla quale una o più «persone», (che non siano esseri individuali) appartengono. Questo concetto è importato nella Bibbia e usato per interpretare passaggi secondo vedute post-bibliche. Paolo mostra in Rom 15:5,6 e altrove che Cristo non è Dio come il Padre. Il Padre è il Dio di Cristo ed è il solo che sia «Dio» nel senso più completo e pieno del termine. Vedi Greg Stafford, I Testimoni di Geova difesi. «Una risposta agli studiosi e ai critici» 2° ed. (Hungtington Beach, CA Elihu Books. 2000), pp 119-122.

[22] Vedi «I Testimoni di Geova Difesi», pp. 59-63.

[23] Harris, «Gesù come Dio», 156, c. Si riferisce a Ro 3:20 (paragona il versetto 21), 9:8, Mt 16:17 (usa «Padre» e non «Dio»), Lu 3:6 e 1Co 1:29. Luca 3:6 e 1Co 1:29 non riguardano alcun paragone e gli altri tre passi (due soli dei quali usano «Dio»), riguardano paragoni fra entità differenti e non sono antitesi che riguardano una sola entità. Inoltre il contrasto presentato da Rom viene fatto per introdurre un contrasto (vedi W. Bauer, W.F. Arndt, F.W Gingrich, e F.W. Danker, «Il lessico greco-inglese del Nuovo Testamento e la primitiva letteratura Cristiana» 2° ed. (Chicago Univesity Chigago Press, 1979). p 38 sotto a*lla) In Ro. 3:21 il contrasto è introdotto da nuni de (nuni de, "ma ora"). Nessuna di queste espressioni e usata in Ro. 9:5.

[24] Harris «Gesù come Dio», 157

[25] Harris (ibid., 159), seguendo l’indirizzo di Timothy Dwight («Circa Romani ix 5» Il giornale di letteratura biblica 1 [1881], 24), presenta una falsa analogia quando tenta di paragonare l’espressione di 2 Co. 11:31 con Ro. 9:5. Dwight rimarca che «se modifichiamo la costruzione del versetto [2 Co 11:31] in modo da leggere : «il Padre del nostro Signore Gesù sa che non sto mentendo (;) colui che esiste come Dio sopra tutti sia benedetto per tutte le età», nessuno esiterebbe a riferire «Dio» al «Padre». Ma perché dovrebbe qualcuno esitare a applicare «Dio» al «Padre del nostro Signore Gesù Cristo», quando questo è il modo più comune di riferirci al Padre? Lo stesso non può dirsi in riferimento al Cristo che viene frequentemente distinto da «Dio» nelle lettere di Paolo. Inoltre la ricostruzione di 2 Co 11:31 da parte di Dwight (ritenuta corretta da Harris) sembra implicare naturalmente una pausa dopo yeudomai [pseudomai]. La sola differenza, ancora, è che non v’è ragione di vedere il soggetto della seconda proposizione come diverso dalla precedente. Non si può dire lo stesso di Ro.. 9:5

[26] Vedi figura E1 alle pagine 390-392 del libro «I Testimoni di Geova difesi» E’ altresì degno di nota che solo il Padre è altrove descritto come «colui che è sopra tutti» (Ef. 4:6). Harris («Gesù come Dio», 159-160) si dilunga enormemente per minimizzare questo punto, ma nel farlo commette l’errore di asserire che Cristo «è colui che Creò» l’universo secondo Col. 1:16,17. Vedi «I Testimoni di Geova difesi», pp. 221-224 per una discussione di questi testi.

[27] Harris, «Gesù come Dio», 162

[28] Harris, (ibid., 162) cita Dwight («Circa Romani ix 5», 38) che ritiene la posizione di eulogetoV [eulogetos] dopo «il Signore Dio e quindi davanti a «Signore» è uno stratagemma chiastico costruito per dare «preminenza alle parole dossologiche». Ciò può esser vero, ma se lo è, questa è il solo esempio, fra 15 diversi dove eulogetos è usato in riferimento a Dio o al suo nome, in cui i traduttori della LXX hanno sentito il bisogno di usare tale «stratagemma».

[29] Metzger, «La punteggiatura di Romani 9:5», 110.

[30] Harris, «Gesù come Dio», 162.

[31] Abbot, «Circa la costruzione di Romani ix.5», 105.

[32] ibid., 105-106

[33] Metzger, «La punteggiatura di Romani 9:5», 108.

[34] Harris, «Gesù come Dio», 164

[35] Vedi Abbot, «Circa la costruzione di Romani ix.5», 87-89, 90-93; Abbot «Recenti discussioni di Romani ix.5», Il giornale di letteratura biblica 3 (1883), 95-99.

[36] Dwight, «Circa Romani ix.5», 41.

[37] Vedi «I Testimoni di Geova difesi» 2° ed. capitolo 2. Vedi anche il mio prossimo libro «Il trinitarismo: Lingua e Storia» (particolari disponibili su http: //www.elihubooks.com).

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