Sacerdozio sposato.
Dottrina cattolica?
IL SACERDOZIO
SPOSATO È DOTTRINA CATTOLICA.
PAROLA DELLA "RIVISTA DI TEOLOGIA MORALE"
ROMA-ADISTA.
Oggi è dottrina cattolica che ci siano anche uomini sposati chiamati al presbiterato.
Quest'affermazione, che potrebbe stupire non solo semplici fedeli ma pure molti vescovi,
è in realtà fondata su un testo magisteriale di undici anni fa, e chi si meraviglia è
vittima di una contraddizione irrisolta tra l'attuale legislazione canonica (Cic) che, per
la Chiesa latina, richiede il celibato ai sacerdoti, come se esso fosse
"intrinseco", e il Codice per le Chiese cattoliche orientali (Cceo), che questo
strettissimo legame nega. Lo sostiene Basilio
Petrà, docente di teologia morale allo studio teologico di Firenze, all'Accademia
Alfonsiana ed al Pontificio Istituto Orientale di Roma, in un articolo apparso su Rivista di teologia morale (ottobre-dicembre 2001).
L'autore - senza addentrarsi in una disamina dei "pro" e dei "contro"
del celibato sacerdotale per l'attività pastorale, ma rimanendo puramente sul piano
canonico - sottolinea che "la Chiesa cattolica non si identifica con la Chiesa di
rito latino". Dopo il Concilio Vaticano II questo dovrebbe essere pacifico per tutti,
ma di fatto per molti - anche nella gerarchia ecclesiastica - la Chiesa latina
"è" la Chiesa cattolica; e, dunque, il Codice di Diritto canonico per la Chiesa
latina (Cic) "è" il Codice per "tutta" la Chiesa cattolica. Questa
identificazione pratica - nessuno la propugna de
iure - deriva dal fatto che, oggi, le Chiese cattoliche orientali sono una goccia di
circa venti milioni di fedeli, di fronte ad oltre un miliardo di cattolici latini.
Il Cic post-conciliare, varato da Giovanni Paolo II
nel 1983 - ricorda Petrà - così riafferma il celibato sacerdotale: "I chierici
sono tenuti all'obbligo di conservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei
cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il
quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono
messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini" (can.
277, § 1). Commenta il teologo: "Il canone afferma, dunque, la connessione
intrinseca tra lex continentiae [legge della
continenza] e appartenenza al clero (superiore): su tale connessione fonda propriamente la
norma del celibato (...) Secondo il canone, i chierici sono tutti obbligati alla
continenza perfetta e perpetua, in quanto
chierici. Si presuppone, cioè, che la chiamata alla continenza sia intrinseca alla
chiamata stessa al ministero ordinato; la norma celibataria è puramente derivata".
Ma, rileva Petrà, il Codice dei canoni delle Chiese orientali (Cceo), varato dallo stesso
papa Wojtyla nel 1990, afferma: "Il celibato dei chierici, scelto per il regno dei
cieli e tanto conveniente per il sacerdozio, deve essere tenuto ovunque in grandissima
stima; così pure deve essere tenuto in onore lo stato dei chierici uniti in matrimonio,
sancito attraverso i secoli dalla prassi della Chiesa primitiva" (can. 373). Ora,
nota lo studioso, tanto il Cic che il Cceo sono importanti documenti "ambedue
sanzionati dalla massima autorità cattolica, il romano pontefice. In altre parole, oggi
abbiamo due visioni complessive ed articolate della Chiesa, che esprimono ambedue e con
pari autorità la Chiesa cattolica, la cattolicità della Chiesa. Di conseguenza, se si
vuole parlare della dottrina della Chiesa cattolica, non si può più parlare soltanto
della posizione espressa dalla teologia e disciplina latine, né si può parlare
cattolicamente presupponendo semplicemente l'egemonia della tradizione latina. La dottrina
sarà inevitabilmente una dottrina a due polmoni, che considera congiuntamente le
tradizioni teologiche e disciplinari latina ed orientale".
Da questa premessa Petrà trae la logica conseguenza: "La Chiesa cattolica, nel Cceo,
oggi ritiene semplicemente che ci siano uomini sposati chiamati anche al
presbiterato" (secondo la prassi delle Chiese cattoliche orientali, che è poi quella
delle Chiese ortodosse, il chierico deve sposarsi, se lo vuole, prima, e non dopo, l'ordinazione sacerdotale; un prete celibe
non può poi sposarsi).
Pertanto, insiste il teologo, affermare, come fa appunto il Cic, che il celibato è in
sostanza "intrinseco" al ministero ordinato, è sostenere "una tesi
incompatibile con altre affermazioni magisteriali di pari dignità e rilevanti ai fini
della prassi". Dunque, conclude Petrà, se il canone 277 del Cic "intende dire
che - dal punto di vista della Chiesa cattolica o universale - i chierici sono chiamati in
quanto tali alla continenza perpetua e perfetta entra in contraddizione formale con il
Cceo, per il quale Dio chiama tanto uomini sposati quanto uomini celibi al ministero
ordinato ed alla castità propria di ognuna delle due condizioni. Questo contraddittorio
rapporto del Cic con il Cceo va visto direttamente e chiaramente".
Tratto da: http://www.adista.it/numeri/adista01/adista85.htm#t1
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