FEDE L’ipotesi choc dello storico francese Rémond: religioni come il buddismo
sono più vitali della Chiesa cattolica
CRISTIANESIMO Se un giorno crollasse il trono di Pietro
di ULDERICO MUNZI
PARIGI - Un libro pubblicato in Francia può innervosire il cardinale Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l’antico Sant’Uffizio. I suoi fulmini censori, com’è noto, sono imprevedibili e spietati. Il titolo del libro è già di per sé sospetto: Le christianisme en accusation , editore Desclée de Brouwer. In quelle pagine lo storico René Rémond ingaggia un duello con il suo contestatore Marc Leboucher, intellettuale cattolico «dubbioso».
Ecco la sostanza del contendere. Il cristianesimo soffre oggi di un discredito che non colpisce altre religioni. Il buddismo, per esempio, è un interlocutore valido e si presenta come una specie di calamita con tutta la sua carica esotica. Nell’ambito della stessa «parola di Cristo», poi, si possono cogliere delle distinzioni: i protestanti, gli ortodossi escono quasi indenni dalle accuse. Sul banco degli imputati si staglia nitidamente un solo «colpevole»: il cattolicesimo.
Nel 1977 lo storico Jean Delumeau scrisse un saggio dal titolo: Le christianisme va-t-il mourir? , ovvero «Il cristianesimo morirà?». Si narra che Jean Guitton, dopo averlo letto, ebbe una crisi di disperazione e d’insonnia.
«Eppure - dice René Rémond - a rileggerlo nei giorni nostri il saggio appare fin troppo ottimista. Dopo l’età d’oro dell’inizio del Secolo XX (cito Claudel, Péguy, Bernanos, Mauriac in Francia) si ha l’impressione di un crollo generale. Entriamo in una società postcristiana dove il cattolicesimo non occupa più la posizione di un tempo».
Come il marxismo, il cristianesimo è superato. È murato nella storia. Bisogna dire amen e rassegnarsi? Come si può difenderlo?
Nella sua qualità d’Immortale dell’Académie française e di presidente della Fondation nationale des Sciences Politiques, René Rémond non si piega alla condanna di un declino fatale.
L’autore di Religion et société en Europe si ribella con la forza dell’analisi e il fuoco della fede.
Dice: «Tra gli intellettuali c’è soprattutto l’ostinata ignoranza di quanto il cristianesimo ha dato e ha rappresentato sul piano puramente culturale, il ruolo che ha avuto nella trasmissione delle idee forza, senza contare il suo contributo nel campo dei valori. Buona parte dell’ intellighentsia di questa nostra Europa è malgrado tutto l’erede di una tradizione giudaico-cristiana. Il cristianesimo non merita derisione. È stato, per esempio, il solo vero antagonista del marxismo».
Può un cristianesimo screditato aiutare l’uomo a trovare un cammino nell’ignoto ideologico da cui è circondato?
«Sono convinto che Cristo abbia ancora un compito da svolgere. Il discredito, anzi, dà la forza di reagire. Fra i diversi atteggiamenti nei suoi confronti, oltre alla derisione, c’è anche la frettolosa affermazione che ormai la sua figura e il suo insegnamento sono diventati un bene di tutti e quindi non se ne ha più bisogno. Assurdo. Come dire che non ci serve più il radar che ci fa evitare il naufragio su scogliere in agguato nel buio».
Quale forza può suscitare un valore definito «morente»?
«Per rianimare la società da questo suo "coma" occorre buona volontà, generosità e dedizione. Ecco perché c’è bisogno di Cristo. Non pretendo assolutamente che solo il cristianesimo possa suscitare tali sentimenti, ma di sicuro può contribuire alla rinascita di un impegno morale. La società ne ha bisogno per vivere come se fosse ossigeno. Se non esistessero più militanti, se ciascuno si preoccupasse solo della propria riuscita, non avremmo avvenire. È sbagliato ritenere d’essere arrivati al capolinea del cristianesimo, d’aver esaurito tutte le sue possibilità e d’aver fatto il giro di tutto quello che può donarci».
Forse possiamo collegare la crisi del cristianesimo al fatto che è per natura una religione affascinata dalla morte?
«Rifiuto questo espediente intellettuale. È vero che esiste una tendenza "doloristica" e ascetica. Ma esiste anche l’altro aspetto che è solare: quell’irradiarsi di tutte le risorse vitali e mentali per la ricchezza dell’umanità. Il cristianesimo è un appello all’iniziativa, alla valorizzazione del mondo. Si possono fare letture diverse del cristianesimo, certo. La mia non odora di requiem».
Il cristianesimo, se crediamo a René Rémond, non può morire.
«La mia convinzione è che non bisogna essere miopi, limitarsi a un Paese o a un continente, ma salire su una cima e osservare globalmente. Su scala planetaria, così, la visione è nettamente meno pessimistica. Ci sono regioni del mondo dove il cristianesimo è in rapida progressione. È in Europa che viviamo declino e disaffezione». E Rémond spiega: «Fino a un’epoca recente, specie per i cattolici, il comportamento era molto disciplinato, l’ubbidienza era il cemento, la comunità era inquadrata dal clero. I fedeli obbedivano ai comandamenti della Chiesa. Oggi i cattolici hanno preso le loro distanze. È come essere vuoti nel proprio intimo». Per arginare il declino si deve credere alla divinità di Gesù?
«Sì, penso che sia la chiave di tutto: credere che Gesù è il figlio di Dio, credere all’incarnazione e alla resurrezione, tutto il resto è secondario. Gli altri dogmi non hanno la stessa importanza. Chi non crede alla divinità di Cristo e alla sua resurrezione si situa al di fuori del cristianesimo».
Il mondo attuale, forse, ha paura di credere in Dio.
«Le società temono le Chiese e la loro tutela perché la dominazione ha lasciato brutti ricordi. Un marchio, direi. Di conseguenza, immaginano che le Chiese vogliano ristabilire il loro potere. C’è più paura delle Chiese cristiane che di Dio. Il rifiuto di Dio è dettato dal timore delle "conseguenze" innescate in nome di Dio».
Il libro : «Le christianisme en accusation», di René Rémond, editore Desclée de Brouwer, 160 pagine, 88 franchi.